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sopracciglia si arrampicavano lungo un solco profondo scavato in mezzo alla fronte, là dove se ne spicca il naso. Nè quel solco, nè quelle rughe procellose però gli impedivano di esser cortese.

— Accomodatevi su questa sedia, signora, voi siete stanca, avete il respiro affannoso; non avete voi il petto gracile?

E pareva che, mano mano egli s’andava accorgendo ch’io era malata, il suo accento si raddolcisse, e le sue sollecitudini per me andassero crescendo. Mi porse egli stesso una sedia vuota che stava accanto alla sua, senza posar per questo la bambina che le sue braccia robuste e vellose portavano come una pagliuzza.

Dove vedo un uomo che soffre, dove sospetto un dolore, io senza volerlo, senza saperlo mi arresto, affascinata da una irresistibile attrazione.

Mi sedetti e dimenticai gli eliotropii che, pur senza ch’io li vedessi, mi andavano imbalsamando l’aria all’intorno.

— Sì, mio buon signore, son malata di petto; son venuta a Madera per guarire: vi sono da un anno e sto assai meglio.

Quell’uomo non aveva ascoltato di certo le mie ultime parole. Colla palma della mano sinistra, ampiamente aperta, si picchiò sulla fronte, sicchè tutta la coperse, e più che parlare, gridò:

— Ah maledetta, maledettissima malattia! Sempre e dappertutto dei tisici. Perchè mai Domeneddio, onnipotente, e onniscente, ha mai fatto dei polmoni più fragili della carta asciugante? Voi, mia signora, guarirete, guarirete senza dubbio; ma io... ma io...

E sospirava e guardava la fanciullina che allora osservai anch’io. — Era in camicia; era pallida, magra: aveva una mano bianca bianca appoggiata sul petto che si alzava e si abbassava nei moti alterni di un respiro affannoso. Il volto era quello d’un angelo e aveva in sè la bellezza della razza latina e dell’inglese; un ovale perfetto, un mento piccino e rotondetto, come una nocciuola ancor verde; due labbra rosee, ma secche e socchiuse; un nasino affilato, grazioso, sopracciglio nere nere e stranamente folte; ciglia