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canto terzo 187


139.Voi siete tal, ch’altri non può mirarvi
che mirando d’amor non se n’accenda;
ma non può alcuno accendersi ad amarvi
ch’amando non v’oltraggi, e non v’offenda.
Offesa v’è servirvi ed adorarvi,
v’oltraggia uom vil che cotant’alto intenda,
perché con quel ch’ogni misura passa
proporzïon non ha scala sì bassa.

140.Non dee tanto avanzarsi umano ardire
che presuma d’amar bellezza eterna,
ma curvar le ginocchia, e reverire
con devota umiltà chi ’l Ciel governa.
È ben ver, che qualora entra in desire
d’inferïor natura alma superna,
quella bontà, quella virtù sublime
ne l’amato suggetto il merto imprime.

141.Quel merto, ch’esser suol d’amor cagione
in noi mortali, è in voi Celesti effetto,
sì che quando alcun Dio d’amar dispone
uom terreno e caduco, il fa perfetto;
ché ben che disegual sia l’unione,
l’un de l’altro però sgombra il difetto;
e d’ogni indignità purgando il vile,
ciò ch’è per sé villan rende gentile.

142.Amor di voi m’innamorò per fama
pria ch’a veder vostra beltà giungessi,
e da lunge v’amai non men che s’ama
oggetto bel, ch’ingorda vista appressi.
Or che quanto il mio cor sospira e brama
son condotto a mirar con gli occhi istessi,
e ch’oltre il rimirarvi, altro m’è dato,
vo’ contentando voi, far me beato.