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canto quarto 273


291.L’Ore spogliando de’ lor fregi i prati
tutto di rose imporporare il cielo.
Sparser le Grazie aromati odorati,
cantàr le Muse la mia face e ’l telo.
Le corde d’oro e i calami cerati
toccàr lo Dio d’Arcadia, e quel di Delo.
Resse Himeneo la danza, e volse in essa
ballar con l’altre Dee Venere istessa.

292.Così di tanti affanni a riva giunsi,
e per sempre il mio bene in braccio accolsi,
con cui mentre ch’alfin mi ricongiunsi,
tanto mi trastullai, quanto mi dolsi;
né da l’amato sen più mi disgiunsi,
né dal nodo gentil più mi disciolsi;
e del mio seme entro il bel sen concetto
nacque un figliuol, che si chiamò Diletto. —

293.Amor così ragiona, e l’altro intanto
il suo parlar meravigliando ascolta;
e per pietà, d’affettuoso pianto
qualche perla gentil stilla talvolta.
Ma con le faci e le faville a canto
sente avampar nel cor la fiamma accolta,
la fiamma, che ’l Pastor con sue vivande
gl’infuse al cor, già si dilata e spande.

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