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LXXV
Al medesimo
f n torno allo stesso argomento, e invia un sonetto.
Il vostro suggello trapanatale è stato servito. Ho fatto un
sonetto senza sapore e senza sapere, quale l’ha potuto produrre
la meschinitá d’un intelletto tribulato, ch’ai presente ha ben
altro da pensare che poesie. L’avrei mandato insieme con la
risposta alla cortese lettera del signore Quirini, ma non ho saputo
dove indrizzare il piego, poiché l’occasione repentina di questa
morte mi ha fatto credere che voi siate partito di Roma col
vostro cardinale, e dall’altra parte non ben m’assicuro che non
siate in Mantova. Scrivo questa per assicurarmene e la commetto
alla ventura. Di grazia, avisatemi del tutto ed amatemi al solito.
Io mi struggo di desiderio di venirmene costá e di sacrificarmi
con gli effetti in anima e in corpo al vostro reverendissimo e
serenissimo, ma vorrei che S. A. mi aiutasse a distaccarmi da
questa pece. Le mie scritture sono tuttavia in prigione ed io non
posso né voglio partirmi senza quelle, perché sarei persona del
tutto inutile. Con l’occasione della venuta in cotesta corte del
signor prencipe di Piemonte si potrebbe trattare qualche cosa
a mio beneficio; ed essendosi mutato il giuoco e passando gl’interessi che passano, si farebbe forse maggior conto delle intercessioni e de’ favori. Ma io non mi distendo in essaggerare, perché
son certissimo che ’l mio caro signor Barbazza senza le mie
importunitá non lascia a tempo e luogo d’adoprarsi per me.
Saluto il signor Santi, bascio le mani al signor Cagnani ed a V. S. prego dal cielo mille anni felici.
Di Torino [1612].