Pagina:Marino, Giambattista – Epistolario, Vol. II, 1912 – BEIC 1873537.djvu/310

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della malizia d’un altro: per lo che la benignitá de! mio sempre interpretare il mal per bene non avrebbe piú luogo né saprebbe piú ricoprire ed onestare i manifesti mancamenti, come ha fatto infin ora. Il tempo finirá di dismascherar questa faccenda affatto. Ma io per la mia parte non voglio aspettar piú altro, ché troppo corrivo mi parrebbe ormai d’essere. Giá mi son chiarito a bastanza dalla gran trasparenza della maschera, Ja quale, essendo di vana ragnatela, non occulta quel che le sta dietro, che è la povera veritá oppressa e maltrattata. Veggo benissimo sotto l’invoglio di queste girandole la trama marinesca. Onde m’accorgo che ’1 vero pazzo sono stato io e non il lavorante, mentre ho licenziati gli ottimi partiti offertimi in Roma dal Facciotti per attendere a questo del Pavoni, che mi propose V. S. spontaneamente e senza esserne da me ricercato, mettendomelo in mano per indubitato. Ma, dall’altro canto, che si ha egli a fare? Chi negozia convien fidarsi; e s’io fussi indovino, non istamperei versi ma profezie.

Mentre io scrivo, mi sopraggiunge una lettera del signor Francesco Giorgi, che a mia instanza s’è informato di tutto il successo dal Pavoni medesimo. Dicemi egli che quello ha concluso nuovamente con V. S. di stampar la Galeria del Marino e che fra due giorni comincerá il Javoriero. Non occorre dunque che di questo negozio io faccia piú parola. Stiasene V. S. colla coscienza riposata e senza rimorso alcuno, se Ella può, godendosi fra se stessa la gloria delle sue leggiadre azzioni; ché io cercherò per altra via di risarcire il meglio che posso la perdita c’ho fatta del tempo, dietro alle sue promesse, per non chiamarle con altro piú proprio nome. Se ’l mio libro, come io dissi, è in sé buono, tutta la malignitá di questo mondo non sará bastante a levargli pur oncia di quel che gli tocca d’applauso, né sempre le macchine degli invidiosi avranno effetto. Invidiosi posso dirgli veramente, poich’io non impedisco le stampe loro ed essi impediscono le mie; segno evidente che piú stima fanno elli di me che non fo io di loro. Dal che nasce che essi, in cambio di turbarmi, mi rallegrano e, invece di scoraggiarmi, m’innanimano maggiormente. Io mi rido di quanto