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sonetti amorosi | 97 |
xliv
l’ostrica
Questo, che, quasi un pargoletto scoglio
per durissima scorza aspro e sassoso,
Lilla, e di scaglie rigido e nodoso,
dal mar divello e nel mio grembo accoglio,
rassembra me, cui sol d’alto cordoglio
circonda un oceán torbido ondoso,
cui schiantar mai non valse austro cruccioso,
di martír grave o di feroce orgoglio.
E se, qual rozzo, il tuo pensier m’aborre,
da quel ch’entro nascondo, ésca potrai
a la tua feritá spesso raccôrre.
Anzi te pur rassembra, a cui, se mai,
qual famelico polpo il cor sen corre,
in pena de l’ardir, morte gli dái.
xlv
a un mergo
che a mezzanotte lo svegliava.
E tu pur, lasso! incontr’a me congiuri,
vago del mio penar, mergo importuno;
ed a me di riposo ancor digiuno
col canto intempestivo il sonno furi?
Ancor non ha de l’aria ai campi oscuri
tolto Notte il suo velo umido e bruno,
né da le molli piume è di Nettuno
sorto co’ crini il Sol lucidi e puri.
Questi, che credi mattutini albori,
son raggi de la candida sorella
di lui, ch’ancor riposa in grembo a Dori.
E tu sai che non vien l’alba novella
a fugar l’ombre ed a sgombrar gli orrori,
se pria non spunta in mar l’alma mia stella.
G. B. Marino, Poesie varie. | 7 |