Pagina:Marino Poesie varie (1913).djvu/138

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126 parte terza


     Quante volte la sera, allor che riede
dai paschi aperti a le sbarrate stalle,
l’odo, a punto com’uom che pietá chiede,
d’angosciosi muggiti empir la valle.
Su le ginocchia al suol gettar si vede,
né cura entro il covil posar le spalle;
ma, steso a nudo ciel su l’erba fresca,
sdegna il letto, odia l’onda, aborre l’ésca.
 
     Toro meschin, che per amor ti struggi,
quanto è conforme, oimè! lo stato nostro.
Io fuggo da’ pastor, tu da me fuggi;
tu col nemico, io col nemico giostro;
tu, che non sai con altro, ululi e muggi,
io con pianti e sospir la doglia mostro:
se non che tu languisci, afflitto toro,
per umil vacca, io cruda tigre adoro.
 
     Potrei di queste, o Clori, e d’altre cose
rendere i tuoi desir contenti e lieti.
I dorati coturni e l’ingegnose
di bei serici stami inteste reti,
le prime poma d’òr, le prime rose
de’ giardini piú chiusi e piú secreti,
tue fôran sempre, e d’altri doni ancora
t’onorerei, come Montan t’onora.

     Oh Dio! se tu vedessi, or che le quaglie
senton d’amor gli stimuli primieri,
che disfide ostinate e che battaglie
fanno in duelli sanguinosi e fieri,
diresti ben ch’armati a piastre e maglie
non ne fan tante in campo i cavalieri:
è steccato il mio desco a le lor pugne,
e per lance e per spade han becchi ed ugne.