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idilli mitologici 217

né v’ha montagna o selva,
dove avaro cultor semini e pianti
per speme di raccôr frutto dal flutto.
Frutto del mare è l’alga e seme è l’onda;
e queste immense e mobili campagne
non villan, ma nocchiero,
col legno sega e non col ferro rompe.
Ma come avien che tu sostenga e porti
vergine peregrina,
leggiadro peso a la robusta schiena?
Hanno anco i tori innamorati appreso
a rapir le donzelle;
o pure il re de l’acque,
presa forma di fiume
(ché tal rassembri a la cornuta fronte),
furtivamente adduce
all’algosa magion sí dolce preda?
È forse Galatea, Doride o Teti,
ch’alcun mostro del mar doma ed affrena?
È forse Citerea, che, come suole,
sul dorso di Triton siede e cavalca?
Forse Cinzia, disciolto
dal freddo carro suo l’un de’ giovenchi,
non contenta del cielo,
va trattando del mar l’umide vie;
o pur Cerere bella,
de le spiche inventrice,
nel ceruleo elemento a provar viene
il bidente e la marra? Or, s’egli è vero,
tu, Nettuno, che fai, che con la nave,
terrestre agricoltor, non passi in terra? —
     Cosí seco parlava
stupido in vista il navigante argivo.
Ma, tutto intanto al caro furto inteso,
lieto del bell’acquisto,
l’ingordo involator poco l’ascolta,
e per l’alto ne porta il suo tesoro.