Pagina:Marino Poesie varie (1913).djvu/307

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versi di occasione 295

xxv

a ferrante gonzaga

principe di Molfetta.

     La tua man, che di Marte e di Bellona
la spada e l’asta è di trattar sempr’usa,
vòlto il sangue in inchiostro, or non ricusa
la pacifica penna in Elicona.
     E la fronte, che d’elmo, ove risona
l’orribil tromba, ir suol cerchiata e chiusa,
al dolce canto de l’amica musa
prende di lauro ancor molle corona.
     Oh novo Apollo, a cui s’arco e faretra
premono il fianco, sostener sonanti
sai di par, guerrer saggio, e plettro e cetra!
     Or chi di gloria egual fia che si vanti?
Da te, che morte dái, vita s’impetra;
tu fai l’illustri imprese, e tu le canti.


xxvi

al duca di atri acquaviva

in lode del figliuolo cardinale Ascanio.

     Hai ben onde gioir, qualor fra noi
gli occhi abbassi qua giú da’ sommi giri,
anima illustre, e ne’ gran figli tuoi
tanti tuoi pregi, anzi te stessa ammiri.
     Altri lá volge armato i pensier suoi,
ov’onor vero e vera gloria il tiri;
altri del grand’Ignazio i sacri eroi
regge e chiude nel cor santi desiri.
     Ma tu mira fra lor sí come questi,
che ’n pace e ’n guerra il tuo valor pareggia,
nutre in petto real voglie celesti;
     e, de l’eterno amor mentre fiammeggia,
emulo ancor de l’altro, il qual le vesti
del suo sangue lavò, d’ostro rosseggia.