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quale costituisce la vera materia della rappresentazione. Ma ciò basta allo Spir per affermare nel modo più reciso la distinzione della rappresentazione dall’oggetto: e ciò vale non soltanto degli oggetti della realtà esteriore, ma anche degli oggetti dell’esperienza interna, i sentimenti, le volontà; la possibilità dell’errore e dell’illusione nell’esperienza interna ci prova che anche i nostri fatti interni sono noti a noi per mezzo di rappresentazioni (W., I, 35 ss.).

Con il contenuto rappresentativo è data immediatamente, secondo lo Spir, anche una distinzione originaria, la distinzione che si traduce nella coscienza dell’io e del non io. Noi crediamo di conoscere noi ed altre cose fuori di noi: noi distinguiamo nel contenuto a noi dato una parte costituente propriamente ciò che diciamo «noi» ed una parte straniera: questa distinzione è un fatto primordiale e non è suscettibile di derivazione o di esplicazione (W., I, 45, Esq. 11, 96).

Non bisogna però confondere questa obbiettività originaria d’una parte dell’esperienza con la sua esteriorità. L’esteriorità non è che una forma speciale dell’obbiettività: un oggetto non può esistere spazialmente fuori di noi senza essere un elemento obbiettivo della esperienza, ma l’obbiettività non è ancora esteriorità nel senso spaziale della parola. Nel seno della coscienza stessa, del contenuto rappresentativo — che costituisce materialmente la totalità dell’io nel più largo senso di questa parola — si disegna così originariamente per intuizione inderivabile una distinzione fra rappresentazioni subbiettive (costituenti l’io in stretto senso) e rappresentazioni obbiettive (costituenti il non io, il mondo): queste ultime fanno parte pur esse del soggetto, dell’io in largo senso, ma hanno dei caratteri particolari per i quali si distinguono radicalmente dalle prime: tutti i tentativi di esplicare il sorgere d’un io da una corrente di rappresentazioni obbiettive come quelli di derivare da una complicazione di fatti subbiettivi il concetto d’un non io, d’un oggetto, sono puri sofismi che già presuppongono quella distinzione che essi tentano di dedurre o d’esplicare. Certo l’io ed il non io fanno parte entrambi della coscienza, si richiamano a vicenda e quindi debbono costituire una unità profonda — che però è sottratta alla nostra esperienza — ; ma ciò non toglie che per l’esperienza essi costituiscano nel seno stesso dell’io una dualità irreducibile (W., I, 329 ss.).