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S. Bruno alla grande Certosa. Essi provavano tutti l’indefinita attrazione che su tutte le anime veramente religiose esercita la divina bellezza della natura: essi andavano a cercare nei silenzi delle foreste o nei sereni orizzonti delle montagne quell’emozione profonda, mista di calma, di beatitudine e di un’indefinita melanconia che è come una rivelazione dell’essere misterioso ed eterno delle cose». Il linguaggio stesso ci ha conservato in certo modo ancora una traccia di quest’origine naturistica della religione: la parola dio, deva, dalla radice div, non fu da principio che il termine generico degli oggetti luminosi: e solo appresso quando si fu formato il concetto degli esseri divini, degli esseri che avevano per carattere comune di elevare lo spirito alla comunione con l’infinito, questa parola perdette il suo originario significato ed acquistò il senso spirituale che oggi noi le riferiamo.

Ora questo ci aiuta a comprendere la natura dei simboli creati dalla coscienza religiosa nel primo periodo della sua storia, simboli che oggi conosciamo sotto il nome di miti. La coscienza religiosa ispirata dalla contemplazione della natura cercò nella natura i suoi simboli: e dalla natura quella specie di pensiero sensibile che è l’immaginazione derivò le forme sensibili e concrete, con le quali rivestì l’ideale inafferrabile dell’unità infinita ed eterna, che si librava come un presentimento non ancora ben chiaro dinanzi alla sua coscienza. Così il pensiero religioso primitivo creò le rappresentazioni mitiche degli esseri divini venerati come potenze creatrici e protettrici dell’uomo e delle cose: rappresentazioni che per quanto possano in parte sembrarci attualmente inesplicabili — si pensi p. es. ai miti totemistici — non sono però per nulla soltanto il frutto d’una sbrigliata fantasia. La fantasia vi ha certamente una gran parte perchè è la fantasia soltanto che nel periodo primitivo del pensiero si assume il compito di dare una forma concreta all’intuizione del divino: forma, la quale, essendo derivata dal mondo degli essere sensibili, è, di fronte al vero contenuto che essa riveste, in una sproporzione che appare sempre tanto più evidente quanto più si affina la coscienza religiosa. Ma di questa sproporzione è già parzialmente conscia la stessa coscienza creatrice dei miti: anche per il pensiero primitivo l’oggetto sensibile che vale a risvegliare la coscienza del divino non è per esso che la rivela-