Pagina:Martinetti - Saggi e discorsi, 1926.djvu/205

Da Wikisource.

— 205 —

me sussistenti, se non attingessero un’apparenza di realtà dalla sola e vera realtà. Poichè anche gli elementi sensibili, pur acquistando consistenza di oggetti sostanziali solo per virtù della rappresentazione, sono anteriormente alla sintesi rappresentativa qualche cosa di reale solo in quanto già nel seno della natura vive una tendenza verso la norma, per la quale essa si predispone alle forme dell’unità e della realtà. L’illusione creatrice del mondo empirico procede dunque già dal principio della natura: dal punto di vista assoluto è già un riflesso illusorio della vera unità e realtà l’unità medesima di questo principio, in virtù della quale le sensazioni sono disposte in modo da poter poi essere apprese come un mondo di sostanze. La rappresentazione non fa che continuare e compiere quest’opera della natura: essa falsa alla sua volta l’oggetto in quanto invece di costruire un mondo di sensazioni passeggere ne costruisce un mondo di oggetti sostanziali per mezzo di un modo subbiettivo di apprendere le cose, il quale non corrisponde affatto al loro essere. Mentre quindi secondo la concezione ordinaria il mondo fenomenico è la stessa realtà in sè, ma travestita in forme straniere, secondo lo Spir esso è anzi il non essere medesimo, una specie di materia platonica, che dalla realtà assoluta attinge le forme, sotto le quali può acquistare una parvenza di realtà. Epperciò noi possiamo benissimo chiamar il mondo empirico una rappresentazione falsa, una parvenza della realtà assoluta; una parvenza che imita la natura della realtà assoluta, ma non vi partecipa, non ne è un effetto, nè una manifestazione, non avendo con essa nessun reale ed essenziale rapporto.

Noi arriviamo quindi naturalmente a questa importantissima conseguenza: che il mondo empirico non può venir derivato dalla realtà assoluta. Abbiam veduto come esso, pur non contraddicendo in modo assoluto alla norma a priori, anzi simulandone in certo modo i caratteri, non corrisponda veramente ad essa sotto nessuno dei suoi aspetti: esso è un divenire continuo, condizionato, che rivela da ogni parte il suo carattere anormale. Ora sarebbe contradditorio ammettere che questo cambiamento, quest’imperfezione, questa falsità appartengano all’essere in se delle cose: la verità non produrrà mai da sè l’apparenza, il divenire non può dedursi dall’essere: l’in-