Pagina:Martini - Trattato di architettura civile e militare, 1841, I.djvu/146

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a molte altre arti meccaniche1, nientedimeno chi considerasse quanto sia utile e necessaria in ogni opera umana, sì nell’invenzione, sì nell’esplicare li concetti, sì nell’operare e all’arte militare; e oltre a questo aritmetica, geometria, prespettiva a questa essere affini, senza errore giudicheria essa essere un mezzo necessario in ogni cognizione, e opera delle cose fattibili con diritta ragione.

Per questo non senza cagione nelle menti dei virtuosi insorge maraviglia d’onde sia processo che tanto tempo sia stata occulta e totalmente persa, e parimente le forze dei vocaboli usati per gli autori di quest’arte ignota, massimamente essendo in questo spazio stati più uomini dalla natura dottati di sottilissimi ingegni. Alcuni l’attribuiscono agl’influssi celesti per i quali al mondo gli uomini sono in un’età ad un esercizio inclinati, in altra ad altro. Ma io lasciando quest’alta considerazione che è sopra le forze mie, conosco a quest’effetto un’altra cagione essere concorsa, e questa è che in questo tempo, come è manifesto, la cura e sollecitudine e manifesta frenesia umana alla cupidità e avarizia si è data, le virtù abbandonando: e se pure alcuna scienza si è messa in uso, quella solo affine di ricchezze o guadagno è stata frequentata. E, oltre agli altri, in questo vizio i principi e potentati sono incorsi a cui si aspetta retribuire mediocremente quegl’ingegni che la vita loro occupane in questi esercizi: donde ne segue che quelli che a simili studi hanno dato opera benchè eccellenti, non hanno posseduto tanto, che la vita loro in fine non sia stata miserrima: dal quale effetto ne segue la disperazione di qualunque in simili esercizi volesse versarsi2.

Questa medesima cagione me lungo tempo già tenne pendulo e dubbio,

  1. Giovanni Sanzio padre del gran Raffaello, il quale viveva col nostro autore in corte d’Urbino, nel suo poema inedito della vita di Federigo II, parlando della prospettiva e di Eupompo, dice:

    «Il qual voleva che di eccellenza fuora
    Ogni arte fosse al mondo senza lei
    E il secol nostro tanto la divora».

    (Giorn. arcadico, vol. X, pag. 107). Pare adunque che anche questo poeta pittore abbia avuto per mano un simil codice di Plinio, e che andasse d’accordo col nostro Cecco nel lagnarsi della temporanea infelice condizione dell’arte.

  2. Errore de’ tempi. I letterati essi pure bandivano essere cadute le romane lettere, dacchè cessato avevano gl’imperatori d’impinguare chi le coltivava.