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sorgente, aver egli vivente dedicati i suoi libri dell’architettura: concorda in ciò anche l’epoca della morte dell’Alberti che non fu che nel 1472 (1). Vi concorse pur anche Baccio Pontelli fiorentino, egregio architetto, alla di cui fama (ripeto un’antica doglianza) nocque il troppo numero di eccellenti artisti che erano allora in Italia: in argomento dell’opera sua vedasi l’epitaffio erettogli già in Urbino (2), nella chiesa di S. Domenico,

  1. Chronicon Matthiae Palmerii, col. 256.
  2. Riferito dal Gaye in calce al documento CXVII ..... dum a Federico accitus aulam regionum omnium pulcheriimam edificiorum arte tota designaret ec. Vedasi il citato documento presso il Gaye, nel quale parlasi del disegno che Baccio ritrasse del detto palazzo, ed inviollo al Magnifico Lorenzo. Baccio era anche pittore, e le parole dell’epitaffio arte tota indicano che nel palazzo d’Urbino egli fu architetto, pittore e scultore. Non conosco quanto di Baccio scrisse il Gaye nel giornale il Kunstblatt, ben so che troppo poco è quanto, a modo di appunto, ne diede il Vasari nella vita di Paolo Romano: un’opera sua, per la quale v’è tutta la certezza morale, è la cattedrale di Torino, una delle migliori chiese di quell’epoca, solo monumento che questa città conservi del miglior secolo, e quindi da gente non avvezza al bello disistimata e pressochè tacciata di barbarie. Ridevole affatto è l’opinione di chi la dice edifizio de’ Longobardi: fecela il cardinal Domenico della Rovere e compiella nel 1498; il Pontelli era architetto dei Della-Rovere e segnatamente del cardinal Domenico, pel quale edificò in Borgo di Roma il palazzo ancora esistente; sappiamo d’altronde che la cattedrale nostra fu cominciata nel 1492 con disegno venuto da Roma, argomentandolo dalle misure espresse nei capitoli d’appalto (Torino nel 1335, descritto da Luigi Cibrario, pag. 13): le porte, pari alle più belle, sono opera di un Franceschino Caverna da Casal-Monferrato, una delle pile dell’acqua santa è di Sandro di Giovanni fiorentino, l’altra è di mano inferiore d’assai. D’altronde chi ha vedute, ma non coll’occhio del volgo, le chiese di S. Agostino e del Popolo in Roma, e quelle di Montorio e della Pace, non può dubitare che l’autore di queste non sia pur quegli del S. Giovanni di Torino: aggiungerò che questa chiesa non solo è opera sua, ma di più è la più bella tra le opere sue. Per l’onore di questa città io auguro che questo monumento sia più apprezzato e conosciuto. Avverto ancora che l’abside fu distrutta circa il 1656, e distrutto allora pure l’altar maggiore, opera lodatissima dall’Ughelli (in episc. taurinensibus). Gaudenzio Merula, uomo certamente dotto e vissuto in Milano colla scuola di Leonardo, scriveva di Torino: Templo ornatur S. Ioannis Baptistae, adeo ex simetria christiana deducto, ut unum vix et alterum simile in tota Italia reperies (Ms. negli Archivi Regi di Torino). Il Vasari lo chiama Pintelli; bene avverte il Gaye, che Pontelli è il nome suo, ma due altri documenti (oltre le parole dell’Olivieri e del Baldi) già lo accertavano, in uno de’ quali leggesi che dilectus filius Bartholomaeus Pontelli Florentinus è mandato da Sisto IV a vedere la fortezza di Civitavecchia (Frangipani, Storia di Civitavecchia, pag. 124): e Pontelli è pur anche appellato nell’antica cronichetta di Osimo edita dal Martorelli. Aggiungo che certamente del Pontelli intender deesi per quel mastro Baccio, detto da Urbino, perchè di là veniva, autore della rocca di Sinigaglia sullo scorcio del XV secolo (Pungileoni, Memorie di G. Sanzio, pag. 82).