Pagina:Mattielli - Della vita e degli scritti di Gian Giacomo Mazzolà, Padova, Sicca, 1846.pdf/15

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che studio e poesia. E schiettamente solea confessare la sua disobedienza, mentre perduta la pace al divieto de’ suoi genitori, e pur sempre sognandosi del suo Metastasio, fece sparmio del poco peculio che veniagli ne’ dì festivi donato pe’ i suoi piccoli passatempi o per le frutta, e non andò guari ch’ebbesi il desiderato libretto. Le armonie soavissime del Metastasio, e lo splendore in appresso dei sovrani versi del Monti, fecondarono mirabilmente quei germi di poesia che di giorno in giorno maturavansi nel di lui petto.

Compiute le scuole del Ginnasio, lieto della freschissima rosa tiberina, e della presa dimestichezza coi sommi scrittori, la sua mente così fornita di amene cognizioni sentiva il bisogno di governarle con filosofica meditazione. La nostra Università lo accolse festosa, attendendo dal pronto ingegno di lui grandi cose: le ottenne, e dell’alloro della sapienza cinse le sue giovani tempie. Noi quì dobbiamo distintamente ricordare quest’epoca della sua vita, siccome quella in cui il cuore di lui ebbe a soffrire quel notabile cangiamento che scuote dal fondo i principj della domestica educazione, e leva lo spirito dal vagheggiare le brillanti imagini dell’infanzia. Egli, pieno il petto di quella melancolia che suol essere compagna assidua dei grandi ingegni, cercava i romiti passeggi, la quieta pace della campagna; e la vaneggiava, cantava i suoi versi o gli altrui; o seduto in una soave contemplazione ammirava il lento succedere della notte alla piena