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362 dei longobardi e del chiostro e chiesa di s. sofia

suo figlio1, non trascurando però affatto la dignità del suo grado principesco. Nulla di meno questa dipendenza fu scossa non appena, morto Liutprando, il nipote di costui Ildebrando, sbalzato dal trono Longobardo, fu sostituito da Rachi, il quale, qual Duca del Friuli, veniva considerato straniero. Non avendo neppur costui incontrate le simpatie del popolo Longobardo, e costretto a rinunciare alla corona, andò a chiudersi nel Monastero di Montecassino.

Gli successe sul trono il fratello Aristolfo. Il quale rese ancora più dipendente il ducato di Benevento, come è dimostrato non soltanto dagli aiuti prestati al Re contro il Papa nel 756, appena Pipino si fu tornato in Francia, ma benanche da una decisione resa da Aristolfo in un processo di Benevento2. Era in quel tempo Duca di Benevento Liutprando, figlio del defunto Gisulfo, rimasto un certo tempo sotto la tutela della madre Scauniperga.

Frattanto Desiderio era pervenuto sul trono Longobardo, alla morte di Aristolfo, contro le nuove voglie di Rachi che aveva lasciato il Chiostro. E poichè Liutprando di Benevento insieme al Duca Alboino di Spoleto aveva sollecitato la venuta di Pipino in Italia, Desiderio marciò sopra Benevento. Fuggissene Liutprando, ricovrando a Taranto; e il Re mise sul Ducato Beneventano Arechi II (anno 758), longobardo di illustre prosapia, originario di Benevento, e stato già alla corte di Liutprando. Egli sposò Adalperga, figlia di Desiderio, la quale aveva avuto per precettore il celebre Paolo Warnefrido Diacono. Questo Arechi dominò Benevento quasi trent’anni.

Grandi fatti politici si svolsero in quel tempo. Non ostante che Desiderio avesse data in isposa sua figlia a Carlo Magno, questi scese in Italia, e conquistò il regno Longobardo. Pare che la condotta di Arechi sia stata allora quella di principe indipendente, avendo poste basi così solide al suo dominio sul ducato di Benevento, da pervenire al coronamento del massimo suo pensiero di appellarsi di fatto Principe sovrano, e di vestirne le insegne. Ma, non pertanto, fu obbligato più tardi a riconoscere la

  1. Hirsch, op. cit. pag. 95, 96, 100.
  2. Hirsch, op. cit. pag. 103.