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8 | vi - semiramide |
SCENA III
Mirteo, Ircano, poi Scitalce, e detti.
si presenta Mirteo.
L’Egitto...
Ircano. Odi. La bella, (a Mirteo, interrompendolo)
che fra noi si contende, è quella?
Mirteo. (ad Ircano) È quella.
L’Egitto è il regno mio... (a Semiramide)
Ircano. Del Caucaso natio (a Semiramide, interrompendo Mirteo)
vien dal giogo selvoso
l’arbitro degli sciti amante e sposo.
Mirteo. Ircano, a quel ch’io veggo,
tu d’Assiria i costumi ancor non sai.
Ircano. Perché?
Semiramide. Tacer tu déi:
parli il prence d’Egitto.
Ircano. In Assiria il parlar dunque è delitto? (si ritira indietro)
Mirteo. L’Egitto è il regno mio; sospiri e pianti,
rispetto e fedeltá sono i miei vanti.
Semiramide. Siedi, principe, e spera: a lei, che adori,
non è il tuo merto ascoso. (Mirteo va a sedere)
Qual ti sembra Mirteo? (piano a Tamiri)
Tamiri. (piano a Semiramide) Molle e noioso.
Semiramide. Or narra i pregi tuoi. (ad Ircano)
Ircano. Dunque, a vostro piacer...
Tamiri. (al medesimo) Parla, se vuoi.
Ircano. Si parli. A farmi noto
basta affermar ch’io sono
l’opposto di colui. Sospiri e pianti
non son pregi fra noi. Pregio allo Scita
è l’indurar la vita
al caldo, al gel delle stagioni intere,
e domar, combattendo, uomini e fere.