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136 vii - artaserse


Artabano. Taci: non vedi,
nella tua cieca intolleranza e stolta,
dove sei, con chi parli e chi t’ascolta?
Arbace. Ma, padre...
Artabano. (Affetti, ah, tollerate il freno!)
Mandane. (Povero cor, non palpitarmi in seno!)
Artabano. Chiede pur la tua colpa
difesa o pentimento.
Artaserse. Ah! porgi aita
alla nostra pietá.
Arbace. Mio re, non trovo
né colpa, né difesa,
né motivo a pentirmi; e, se mi chiedi
mille volte ragion di questo eccesso,
tornerò mille volte a dir l’istesso.
Artabano. (Oh amor di figlio!)
Mandane. Egli ugualmente è reo
o se parla o se tace. Or che si pensa?
Il giudice che fa? Questo è quel padre
che vendicar doveva un doppio oltraggio?
Arbace. Mi vuoi morto, o Mandane?
Mandane. (Alma, coraggio!)
Artabano. Principessa, è il tuo sdegno
sprone alla mia virtú. Resti alla Persia
nel rigor d’Artabano un grand’esempio
di giustizia e di fé non visto ancora.
Io condanno il mio figlio: Arbace mora.
(sottoscrive il foglio)
Mandane. (Oh Dio!)
Artaserse. Sospendi, amico,
il decreto fatal.
Artabano. Segnato è il foglio:
ho compito il dover.
(s’alza e dá il foglio a Megabise)
Artaserse. Barbaro vanto!
(scende dal trono, ed i grandi si levano da sedere)