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atto secondo | 141 |
Artaserse. Di mia clemenza
è questo il prezzo?
Artabano. La mercede è questa
d’un’austera virtú?
Artaserse. Quanto in un giorno,
quanto perdo, Artabano!
Artabano. Ah! non lagnarti.
Lascia a me le querele. Oggi d’ogni altro
piú misero son io.
Artaserse. Grande è il tuo duol, ma non è lieve il mio.
Non conosco in tal momento
se l’amico o il genitore
sia piú degno di pietá.
So però, per mio tormento,
ch’era scelta in me l’amore,
ch’era in te necessitá. (parte)
SCENA XV
Artabano.
Son pur solo una volta, e dall’affanno
respiro in libertá. Quasi mi persi
nel sentirmi d’Arbace
giudice nominar. Ma, superato,
non si pensi al periglio.
Salvai me stesso: or si difenda il figlio.
Così stupisce e cade,
pallido e smorto in viso,
al fulmine improvviso,
l’attonito pastor.
Ma, quando poi s’avvede
del vano suo spavento,
sorge, respira e riede
a numerar l’armento,
disperso dal timor.