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208 | viii - adriano in siria |
necessario dover la nostra pace.
Va’: consorte d’Augusto
il grado piú sublime
occupa della terra. Un gran sollievo
per me sará quel replicar talora
nel mio dolor profondo:
— Chi die’ legge al mio cor, dá legge al mondo.
Emirena. Ah! se vuoi ch’io consenta
a perderti, ben mio, deh! non mostrarti
cosí degno d’amor.
Farnaspe. Bella mia speme,
no, non mi perdi: infin ch’io resti in vita,
t’amero, sarò tuo, sol però quanto
la gloria tua, la mia virtú concede:
lo giuro a’ numi tutti e a que’ bei lumi
che per me son pur numi. E tu... Ma dove
mi trasporta l’affanno? Ah! che ci manca
anche il tempo a dolerci. Osroa perisce,
mentre pensiamo a conservarlo.
Emirena. Addio.
Farnaspe. Ascoltami.
Emirena. Che vuoi?
Farnaspe. Va’... Ferma... Oh dèi!
Vorrei che mi lasciassi, e non vorrei.
Emirena. Oh Dio! mancar mi sento
mentre ti lascio, o caro.
Oh Dio! che tanto amaro
forse il morir non è.
Ah! non dicesti il vero,
ben mio, quando dicesti
che tu per me nascesti,
ch’io nacqui sol per te. (parte)