Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto secondo | 267 |
SCENA II
Mitrane e detti.
Alceste. Non arrestarmi. A Cleonice io vado.
Mitrane. Amico, a te l’ingresso
all’aspetto real non è permesso.
Alceste. Ed è vero il divieto?
Mitrane. Pur troppo è ver.
Alceste. Deh! per pietá, Mitrane,
intercedi per me. Ritorna a lei:
dille che a questo colpo
io resister non so; che alcun l’inganna;
che reo non sono; e che, se reo mi crede,
io saprò discolparmi al regio piede.
Mitrane. Ubbidirti non posso. Ha la regina
che di te non si parli a noi prescritto;
e ’l nominarle Alceste anch’è delitto.
Alceste. Ma qual è la cagione?
Mitrane. A me la tace.
Alceste. Ah! son tradito. Una calunnia infame
mi fa reo nel suo core:
ma tremi il traditore,
qualunque sia. Non lungamente occulto
al mio sdegno sará. Su l’are istesse
correrò disperato
a trafiggergli il sen.
Olinto. Queste minacce
sono inutili, Alceste.
Alceste. Amici, oh Dio!
perdonate i trasporti
d’un’anima agitata. In questo stato
son degno di pietá. Da voi la chiedo;
voi parlate per me. Voi muova almeno