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361 | atto terzo |
sia simile alla vita. (si getta in mare)
Eurinome. Io manco. Oh Dio!
(sviene ed è condotta dentro)
Rodope. Oh giustissimo ciel!
Giasone. Correte, amici,
a disciogliere il re. (gli argonauti corrono sulla nave)
Issipile. Sposo, io non posso
rassicurarmi ancor.
Rodope. Quante vicende
un sol giorno adunò!
Toante. Principe! figlia!
(scendendo dalla nave)
Issipile. Padre!
Giasone. Signor!
Issipile. Questa paterna mano
torno pure a baciar! (bacia la mano a Toante)
Toante. Posso al mio seno
stringervi ancora! (gli abbraccia)
Rodope. I tollerati affanni
l’allegrezza compensi
d’un felice imeneo.
Toante. Ma pria nel tempio
rendiam grazie agli dèi; ché troppo, o figli,
è perigliosa e vana,
se da lor non comincia, ogni opra umana.
Coro. È follia d’un’alma stolta
nella colpa aver speranza:
fortunata è ben talvolta,
ma tranquilla mai non fu.
Nella sorte piú serena,
di se stesso il vizio è pena:
come premio è di se stessa,
benché oppressa, — la virtú.