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atto secondo | 239 |
SCENA VIII
Achille, ed Ulisse con Arcade in disparte.
le chiome sollevar! Qual nebbia i lumi
offuscando mi va? Che fiamma è questa,
onde sento avvamparmi?
Ah! frenar non mi posso: all’armi! all’armi!
(s’incammina furioso, e poi si ferma, avvedendosi d’avere in mano la cetra)
Achille. E questa cetra
dunque è l’arme d’Achille? Ah! no; la sorte
altre n’offre, e piú degne. A terra, a terra,
vile stromento!
(getta la cetra e va all'armi, portate co’ doni di Ulisse)
All’onorato incarco
dello scudo pesante
torni il braccio avvilito: (imbraccia lo scudo)
in questa mano
lampeggi il ferro. (impugna la spada)
Ah! ricomincio adesso
a ravvisar me stesso. Ah, fossi a fronte
a mille squadre e mille!
Ulisse. E qual sará, se non è questo, Achille? (palesandosi)
Achille. Numi! Ulisse, che dici?
Ulisse. Anima grande,
prole de’ numi, invitto Achille, alfine
lascia che al sen ti stringa. Eh! non è tempo
di finger piú. Sí, tu la speme sei,
tu l’onor della Grecia,
tu dell’Asia il terror. Perché reprimi
gl’impeti generosi