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atto terzo | 279 |
Ipermestra. È mio padre.
Plistene. È un tiranno.
Ipermestra. È il tuo re.
Linceo. T’odia, e il difendi?
Ipermestra. Il mio dover lo chiede.
Plistene. Può toglierti la vita.
Ipermestra. Ei me la diede.
Danao. (Oh figlia!)
Linceo. E vuoi, ben mio...
Ipermestra. Taci: tuo bene,
con quell’acciaro in pugno,
non osar di chiamarmi.
Linceo. Amor...
Ipermestra. Se amore
persuade i delitti,
sento rossor della mia fiamma antica.
Linceo. Ma, sposa...
Ipermestra. Non è ver: son tua nemica.
Danao. (Chi vide mai maggior virtú!)
Plistene. Linceo,
troppo tempo tu perdi. Ecco da lungi
mille spade appressar.
Linceo. (con fretta) Vieni, Ipermestra:
sieguimi almen.
Ipermestra. Non lo sperar: dal fianco
del padre mio non partirò.
Linceo. T’esponi
al suo sdegno, se resti.
Ipermestra. E, se ti sieguo,
m’espongo del tuo fallo
complice a comparir.
Linceo. Ma la tua vita...
Ipermestra. Ne disponga il destin. Meglio una figlia
spirar non può che al genitore accanto.
Danao. (Un sasso io son, se non mi sciolgo in pianto.)