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P R I M O. 12

Ov’hor nulla mi giova;
Poi che per lunga esperienza (ahi lassa)
Hò conosciuto, o dispietato Uranio,
Che del mio mal ti godi, e ti nutrisci,
E brami pur ch’io muora; e più ti piace
La morte mia, che gli Olmi
A le ritorte viti;
E tu sai pur crudele,
Che non amano tanto la rugiada
Le mattutine rose, quanto Filli
Ama Uranio crudele.
Dunque verseram sempre amaro pianto,
Gli occhi miei lassi, e la dolente bocca
Trarrà dal mesto cor sospiri ardenti,
Fin, ch’io misera giunga a l’ultim’hora.



SCENA TERZA.

Igilio Pastore, e Fillide Ninfa.


Igi.
N
E più bel raggio mai d’occhi sereni,

Nè più candida man, nè più bel crine
Arse, avvinse, e piagò libero core,
Di quello, ond’io restai,
Per te dolce mia Filli,
Arso, avvinto e piagato;
Filli di te cosa più bella mai
Non potea nel suo regno Amor mostrarmi;
E chi brama vedere


D'Amor