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CAPITOLO XXV.

I Teatri.

Il teatro drammatico, in Italia, fra la restaurazione del 1814 e la rivoluzione del 1848, fu dominato dalla figura di G. B. Niccolini, il solo scrittore di tragedie, dopo Vittorio Alfieri, che abbia saputo imporsi al pubblico in un genere, che la scuola romantica surta in Italia fra il 1819 e il 1820 aveva dichiarato morto e sepolto.

Naturalmente la censura imbavagliava gli scrittori anche sulle scene, ed abbiamo visto come il padre Bernardini deplorasse l’audacia invalsa nella penisola di asserragliarsi dietro gli endecasillabi sonori d’una tragedia per ricamare le più compassionevoli variazioni sul noto verso di Dante:


oppure sul sonetto del Filicaia:

„Italia Italia, a te cui feo la sorte.„


E il Niccolini, che da parte della madre discendeva appunto dal poeta patriotta del seicento, si servì del teatro per iscuotere dal sonno i suoi concittadini e per preparare gli animi a quella resurrezione del bel paese, a cui nè Dante, nè il Filicaia poterono assistere, ma a cui il poeta di Giovanni da Procida e di Arnaldo da Brescia potette inviare il suo saluto.

Peraltro, ogni rappresentazione di una nuova tragedia del Niccolini era per Firenze un avvenimento, non esclusivamente letterario. Il Governo lo capiva; lo capiva la censura; ma nè l’uno nè l’altra amavano ricorrere ai mezzi energici; e purchè certe apparenze fossero conservate, che