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CAPITOLO XXVI.

I Libri.

Si dava spietatamente la caccia ai libri ritenuti pericolosi e che dal di fuori s’introducevano in Toscana. Ma la caccia quasi sempre dava frutti meschini, imperocchè le misure della Polizia erano facilmente eluse. S’introducevano i libri nascondendoli nei falsi fondi di barili o di botti. Altri s’introducevano con frontespizî adulterini. Spesso un frontespizio della Gerusalemme Liberata, del Tasso, serviva a far penetrare di contrabbando la Storia d’Italia, del Botta, o le poesie del Berchet, e quello di un’opera del Segneri, l’Assedio di Firenze del Guerrazzi. Armatori, spedizionieri, commercianti, facchini di dogana s’industriavano ad introdurre libri proibiti. Qualche volta lo stesso introduttore ingannava la vigilanza della Polizia, distraendo l’attenzione degli agenti con false indicazioni. Si correva a sequestrare una balla di libri in un tal punto della frontiera, mentre i libri entravano da un’altra parte. Ma come sempre accadeva in Toscana, la vigilanza non era esercitata che a sbalzi. Per un mese di rigore, ne passavano cinque o sei di sicura tolleranza, e i librai ne approfittavano per riempire i loro magazzini di merce vietata e sospetta, che, come qualsiasi frutto proibito, si vendeva ad un prezzo esageratamente superiore al reale.1

Per non eccedere le giuste proporzioni di un capitolo, noi non faremo menzione che di pochi di codesti libri rite-

  1. La polizia aveva delle spie fra i librai e fu una di codeste spie che nel 1839 denunziò, come introduttore di libri proibiti, il Le Monnier, che allora era direttore della tipografia Borghi.