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stizia a quarti di luna che dipende dall’umore del legislatore». La legge del taglione è stata abolita, continuava, per la sua intrinseca assurdità; perché quindi non deve essere abolita la pena di morte la «cui formula suprema è: vita per vita?». Alcuni anni dopo, nel 1889, con il codice Zanardelli, la condanna a morte venne abolita: una decisione qualificante per la nostra civiltà. Fu reintrodotta durante il fascismo, nel 1926, e fu effettivamente applicata la prima volta contro un bracciante, nel 1928. L’Italia repubblicana, a partire dal 1948, ha ripreso la bandiera dell’abolizione della pena di morte. Ma le Brigate Rosse, circa cento anni dopo il codice Zanardelli, hanno ritenuto opportuno istituire un sedicente tribunale con il potere di decretare la massima pena, riportando l’Italia indietro ai tempi bui della dittatura.

Sono passati più di trent’anni dai tragici giorni del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro e sembra giunto il momento di narrare, su una base documentaria certa e da una generazione all’altra, quegli anni della storia d’Italia. Tale convinzione ha motivato l’Archivio di Stato e il Tribunale di Roma, in particolare l’allora presidente Paolo De Fiore, a procedere nel 2011 al versamento anticipato delle carte del processo Moro, cominciando dalle lettere originali qui pubblicate, allora conservate presso l’archivio dell’organo giudiziario, e bisognose di urgenti restauri. Se una fase storica si avvia al suo tramonto per l’incoercibile scorrere del tempo e le emozioni più crude e i calcoli politici più contingenti vanno lentamente esaurendosi, è necessario avviare il cammino della riflessione critica e del dibattito.

Come accennato, in Italia non vi sono luoghi fisici dove si ricordi la storia della Repubblica. Gli Archivi dello Stato potrebbero a pieno diritto svolgere questo ruolo e affiancare ai documenti scritti tutte le altre testimonianze in vari modi conservate, divenendo così delle vere e proprie Accademie della Storia. Sarebbe un giusto rimedio ai rischi inerenti al flusso indistinto delle informazioni digitali, che porta in sé il pericolo dell’abulia. Le carte parlano un linguaggio immediato e inequivocabile, ma accanto ai documenti cartacei, come in questo volume si è fatto, bisogna porre le analisi critiche che aiutino alla comprensione e all’esame dei testi, superando la soglia di una lettura solo emotiva. Gli Archivi dispongono di tutti gli strumenti professionali adatti al caso, coltivano le discipline paleografiche, la diplomatica, le diverse branche della storia e hanno già svolto questo fondamentale ruolo per la formazione dell’identità civile e sociale dell’Italia. Alla fine dell’Ottocento, quando la coscienza del Paese si formava, sono stati luoghi di incontro per storici italiani e stranieri di alto livello, che con spirito positivistico hanno riscritto la storia del Paese su basi nuove, un po’ come è avvenuto in altre parti d’Europa: qui a Roma vennero a studiare Jacob Burckhardt e Theodor Mommsen, solo per citarne alcuni. Negli Archivi e grazie ad essi sono spesso nate le Società di storia patria, presenti nelle principali città del Paese.

Ora queste istituzioni vivono una stagione critica per una serie di motivi endogeni ed esogeni