Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/61

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del suicidio, molte volte ricorrente nei suoi scritti e pensieri, non gli sia balenato alla mente il principio, caro agli antichi, dell’eutanasia anche per sfuggire alla malattia deturpante il fisico e perturbante la ragione. Dico agli antichi, chè egli li proclamava “sempre più grandi, magnanimi e forti di noi„ di fronte all’“eccesso delle sventure„ e alla “considerazione della necessità di esse„; e come tutti i grandi Umanisti del Rinascimento prestava loro un culto fervoroso e convinto. Ma intanto ciò che sappiamo sulla enorme facilità di quei lontani preparatori della Civiltà Occidentale nel suicidarsi, ci lascia perplessi sulla loro forza d’animo nel sopportare il dolore anche fisico.

Chi si uccide per mali insopportabili o insanabili lo può fare in due momenti psicologici: o trascinato dal dolore, che gli turba e oscura la coscienza e lo porta all’atto impulsivo di darsi la morte, che è quello denominato da Appiano Buonafede il “suicidio furioso„; o condotto dalla considerazione della intollerabilità del male e dell’inestimabile vantaggio di liberarsene di propria mano, sfuggendo con deliberato proposito al proprio penoso destino, e avremo quello che il Buonafede medesimo chiamava e disapprovava come “suicidio ragionato„. Sarà difficile nei casi singoli stabilire dove termini la fredda riflessione, la libera volontà, la “ragione„, e dove cominci la irriflessione, l’impulso sragionato, il “furore„. Il suicidio