Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/67

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quale mezzo di finire dei patimenti che non si rappresentano forse più alla coscienza, nè come dolore fisico, nè come angoscia morale. In quanto a quest’ultima, noi assistiamo talora in Psichiatria al penosissimo decorrere di certe melanconie presenili in forma di psicosi ansiose, con intenso delirio di rovina, nelle quali la “lenta agonia„ si cela sotto le apparenze psichiche fatte di torture morali, di fobie, di idee rattristanti, di terrori, di disperazione, ora tremendamente agitata ed ora sinistramente muta nelle sue espressioni e nella ricerca incessante della morte quale ultimo scampo. In tutti questi casi, c’è da augurare ai poveri infermi, o l’incoscienza della demenza assoluta, o anche un morbo letale incidentale che soppraggiunga a liberarli da tanta desolazione.

Bisogna intanto rilevare che nella grandissima maggioranza, nella quasi totalità, gli ammalati gravi, o aggravati, quando abbiano il conscio pensiero della prossima fine, o le famiglie, quando veggono spegnersi un loro caro, domandano insistentemente alla Medicina di fare il possibile per prolungare quella esistenza in pericolo. Nessun medico si rifiuterà allora a tale opera di pietà, anche se ha la convinzione scientifica di nulla potere, e forse anche se sa che i mezzi di cui dispone varranno soltanto ad allungare di pochi istanti quella impari lotta della Vita contro la Morte. Nobilissima la già ricordata risposta di Desgenettes al Bonaparte: