Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/88

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rammollimenti cerebrali, dei dementi metasifilitici e senili, degli idropici da cirrosi epatica o da vizio cardiaco non più compensato, di tutti coloro, insomma, che il processo morboso, generalizzandosi, porta al deperimento e al dissolvimento in massa dell’organismo, alla cachessia, al marasma. Tristissimo spettacolo, quello di tante creature umane, immobilizzate su di una poltrona, inchiodate su di un letto spesso imbrattato dalle loro deiezioni, in continua attesa di morire se sono conscii del loro destino; talvolta, per fortuna, inconscii, ma non meno compassionevoli! Attorno ad essi invano si affannano le famiglie per addolcirne la penosissima esistenza, invano si prodigano miracoli di carità e si profondono ricchezze che, secondo un rigido criterio economico, costituiscono una vera dissipazione; alla lunga lo zelo cede allo sconforto, ai sentimenti altruistici di affetto e di pietà subentrano la stanchezza e l’egoismo; e se la famiglia non ha mezzi o è venuta a mancare, la Società civile deve accogliere quei miseri e ospitarli nei suoi Istituti di Beneficenza, Ospedali, Ospizi, Ricoveri, Asili, Manicomii.

A prescindere dallo scopo umanissimo di far terminare prima dell’ora quei patimenti, vi sarebbe nella eutanasia anche un fine utilitario; anzi, secondo taluni, esso dovrebbe primeggiare, in quanto quella massa di invalidi non rappresenta più alcun valore nè per le famiglie nè per la collettività, e questa non