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Divina gioventù. 79

ore della giornata. Ad ogni occhiata di sole si correva fuori, ma uno scroscio di pioggia ne ricacciava dentro; sembrava di giocare a mosca cieca.

Ciro Garzes propose un giorno di andare alla villa di un suo amico — ammogliato — (questo lo aggiunse per le signore) assicurandoci che colà avremmo trovato una vigna immensa da porre a sacco, accoglienza sincera e nessuna etichetta.

Detto fatto, si andò. Fu una gita di poche ore, ma piacevolissima.

Due grossi cani da pagliaio col pelo irto e le pupille di bragia annunciarono il nostro arrivo a tutti i punti cardinali.

Un punto solo rispose e fu quello da cui apparve un’orribile vecchia con una mano distesa al di sopra degli occhi e l’altra inarcata sul fianco.

Pare che la vista di tanta gente le riuscisse di sorpresa anzichenò, perchè scomparve fra i latrati dei cani non abbadando a Ciro Garzes che gridava:

— Fermatevi, ascoltate buona donna, sono io!

La buona donna tornò, ma rinforzata dalla padrona. Dietro questa poi si mostrarono successivamente tutte le persone della casa — quattro bimbi, l’orlotano, un altra serva più orribile della prima, un gatto, alcune galline — e più lungi vidi passare attraverso le sbarre di una finestra bassa il muso allungato e patetico di un bell’asino.

— La famiglia non è completa — esclamò Ciro Garzes inchinandosi davanti alla padrona — non veggo Oreste.

— Oreste è nell’orto — rispose la signora asciugando col grembiale la faccia di uno dei suoi figli.