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Sulle rive della Sonna. 75


Sono le anime superiori, non c’è che dire. La plebe che spasima per la fame, non sa che cosa voglia dire spasimare per un’idea; e i ricchi ignoranti, che affogano nell’oro, non pensano che vi possa essere una cupidigia maggiore — la cupidigia del sapere.

Tutti i germi poetici del padre, semente caduta da un albero che la bufera aveva atterrato, fremevano nel sangue di Editta. Era ideale e aristocratica, giudicava tutto da un sol punto di vista, e siccome precipitava i suoi giudizi e difficilmente si decideva a ripudiarli, la verità, quella verità che essa tanto amava, le sfuggiva spesso. Credeva di essere positiva, ma il capo le spaziava nelle nubi fra sogni e splendori rosei.

Cresciuta in mezza ai libri e alla poesia scritta, le era ignota la poesia suprema della natura, e se prediligeva le rive della Sonna, non era tanto per la bellezza del luogo come per trovarsi libera coi suoi pensieri.

Ella fantasticava lungo il corso del placido torrentello senza curarsi dei perfettamori che le fiorivano sotto i piedi o dei ciclamini che profumavano l’erba.

Che cosa pensava? Che cosa desiderava? Essere felice; in che modo?