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54 Una giovinezza del secolo XIX

gerani, il profumo della vaniglia, lo strano volto delle viole del pensiero e una pianticella di fiori chiamati le meraviglie che odoravano solamente al tramontare del sole, e un’altra che si ingemmava di piccole bacche bianche lucenti rotonde come perle; e le erbe, le care erbe dai molteplici odori che coglievo per mettere nel mio fazzoletto. Non conoscevo ancora il delizioso verso della Cantica "Sia il tuo amore simile a un mazzetto d’erbe odorose appeso alla tua cintura" e non conoscevo l’amore. In nulla fui precoce, nemmeno in questo. Ebbi però prestissimo sviluppata l’attitudine all’osservazione e una intuizione, che contrastava singolarmente con una ingenuità assoluta, da sembrare qualche volta deficienza. Ero anche seria più che non comportasse l’età, con una inclinazione a problemi che raramente interessano le bimbe di nove o dieci anni. Mentre i nipoti dello zio si erano divertiti a disegnare omini e cavallucci sulla parete dello scalone, io vi scrissi questa quartina letta chi sa dove:

               Giovin, che tanto altero
               vai della tua beltade,
               nel fior che presto cade
               contempla il tuo avvenir.

A chi la dirigevo? A nessuno in particolare: al mondo, alla vita, forse a me stessa.