Pagina:Novelle lombarde.djvu/173

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cui m’era svegliato, mi rodeva ancori il cuore ne raddormentarmi.

Deh se allora mi pareva preziosa la libertà! deh come lo stridere dei sorci, mia unica compagnia, mi faceva ricordare quant’è delizioso il cantar del grillo e il pigolare dell’allodoletta all’aperta! Io pensava tra me e me: — Alla fine son io spazzatura di strada? non sono un uomo, un cristiano come loro? eppure non mi badano, più che alla terza gamba; e forse quei che mi dovrebbero giudicare se la passano in pace colla coscienza loro, senza un rimorso del male che cagionano, delle lagrime che scorrono per loro negligenza. Ecco bella maniera di mettermi in amore, se fosse vero che li odiavo! Fallerò, ma mi pare sia il modo di disamorare anche i loro benevoli. Che ne dice ella?»

Io sorrideva, e crollando il capo, ne davo una presa a Carlandrea, il quale mutando tono, proseguiva:

— Così passa un mese, passano due, passa l’intero inverno; quando tutt’in un subito si vede una strana mutazione; e i carcerieri, capisce lei? i carcerieri divenire mansueti come uomini. Che è! che fu? Ella sa bene che cos’era. Quegli altri avevano dovuto far fagotto un’altra volta: i Francesi tornavano: e un bel dì ci aprono i chiavacci, e Andate in pace.

Ha veduto ella mai dei tordi scappar dalla ragna? Tal quale noi. Io saltava tant’alto: corsi senza voltarmi indietro giù pei sentieri, traverso ai campi: che siepi? che fossatelli? che frumento? Ah! riveder il suo paese è pur sempre gioconda cosa. Ma a chi esce da una prigione! a chi dal tanfo di quat-