Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/400

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libro decimoterzo 19

Certo sagace anco tra i Numi, e solo
Colui saria, che d’ingannar nell’arte345
Te superasse! Sciagurato, scaltro,
Di frodi insazïabile, non cessi
Dunque nè in patria dai fallaci detti,
Che ti piaccion così sin dalla culla?
Ma di questo non più: chè d’astuzie ambo350
Maestri siam; tu di gran lunga tutti
D’inventive i mortali, e di parole
Sorpassi, tutti io di gran lunga i Numi.
Dunque la figlia ravvisar di Giove
Tu non sapesti, che a te assisto sempre355
Nelle tue prove, e te conservo, e grazia
Ti fei trovare appo i Feaci? E or venni
Per ammonirti, e per celare i fatti
Col mio soccorso a te splendidi doni,
Non che narrarti ciò, che per destino360
Nel tuo palagio a sopportar ti resta.
Tu soffri, benchè astretto, e ad uomo, o a donna
L’arrivo tuo non palesar: ma tieni
Chiusi nel petto i tuoi dolori, e solo
Col silenzio rispondi a chi t’oltraggia.365
     E tosto il ricco di consigli Ulisse:
Difficilmente, o Dea, può ravvisarti
Mortal, cui t’appresenti, ancor che saggio,