Pagina:Odissea (Pindemonte).djvu/476

Da Wikisource.

libro decimosesto 95

Onde, sterminio meditando ai Proci,
Moviate uniti alla città. Vicina,195
Ed accinta a pugnar, tosto m’avrete.
     Tacque Minerva, e della verga d’oro
Toccollo. Ed ecco circondargli a un tratto
Belle vesti le membra, e il corpo farsi
Più grande, e più robusto; ecco le guance200
Stendersi, e già ricolorarsi in bruno,
E all’azzurro tirar su per lo mento
I peli, che parean d’argento in prima.
     La Dea sparì, rientrò Ulisse, e il figlio,
Da maraviglia preso, e da terrore205
Chinò gli sguardi; e poscia, Ospite, disse,
Altro da quel di prima or mi ti mostri,
Altri panni tu vesti, ed a te stesso
Più non somigli. Alcun per fermo sei
Degli abitanti dell’Olimpo. Amico210
Guardane, acciò per noi vittime grate,
Grati s’offrano a te doni nell’oro
Con arte sculti: ma tu a noi perdona.
     Non sono alcun degl’Immortali, Ulisse
Gli rispondea. Perchè agli Dei m’agguagli?215
Tuo padre io son: quel, per cui tante soffri
Nella tua fresca età sciagure, ed onte.
     Così dicendo, baciò il figlio, e al pianto,