Pagina:Ojetti - I Monumenti Italiani e la Guerra.djvu/28

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bre 1916; e poi la volta di San Giovanni e Paolo che fu colpita all’una e quaranta la mattina del 13 settembre. Due bombe furono lanciate su questa chiesa, ma una cadde a poca distanza, sulla Casa di Ricovero detta volgarmente l'Ospedaletto, che accoglie cinquecento vecchi, e ne forò i tre piani, passando a mezzo delle corsìe tra due file di letti, e andando a conficcarsi nelle fondazioni.

Di San Giovanni e Paolo diceva nel 1581 Francesco Sansovino che era un edificio "nobilissimo per sito perciò che è posto quasi nel cuor della città; per struttura ancora che la maniera sia tedesca; per grandezza di corpi, per abbellimenti di pitture, di statue e d’altre cose notabili e degne di ricordo. Fra le quali una è che in questo Tempio giacciono sedici principi di Venezia e però nelle funera dei Principi il pubblico frequenta questa chiesa, onde s’è poi introdutto perciò che ogni altro huomo di grado pubblico si conduce in detto luogo nelle celebrationi dei mortorii come sono Ambasciatori, Condottieri et simili altre persone segnalate".

Sulle tombe di Tomaso e Pietro Mocenigo, di Antonio, Francesco e Sebastiano Veniero, di Marcantonio Bragadin, di Bertuccio Valier, d’Andrea e d’Alvise Pisani, si sente più che dovunque in Italia come e perchè questa guerra nostra continui oggi dirittamente la lotta per la necessaria conquista dell’Adriatico, per il giusto condominio del Mediterraneo. Basta leggere la epigrafe sulla più antica di queste tombe che è di mano toscana, su quella di Tomaso Mocenigo, del 1413: "Ungaricam domuit rabiem, Patriamque subegit — Inde Fori Julii, Cattarum Spalatumque Tragurum — Aequore piratis patefecit clausa peremptis". Ma i raffronti sarebbero troppi e troppo facili che in questo tempio è tutta la storia politica di Venezia.

E con la storia, monumenti d’arte d’ogni secolo e d’ogni materia, cominciando dalla grande vetriata del Mocetto che Corrado Ricci aveva fatta smontare e portar via diciassette mesi prima, insieme alle tele di Bartolomeo Vivarini, di Cima da Conegliano, di Lorenzo Lotto, di Rocco Marconi: tesori che oggi, senza quella previdenza, sarebbero cenci e frantumi. Una sola tela non s’era potuta staccare: l’immenso ovale dipinto dal Piazzetta per il soffitto della cappella di San Domenico nella navata di destra, e cucito a volta sopra un telaio fatto di assicelle convergenti come le stecche d un ombrello. Vi si era, non potendo far altro, riparato il tetto con grosse lamiere.

Ma la bomba entrò nella chiesa per un foro di quasi due metri dall’alto della navata destra, andò a colpire in alto il muro opposto della navata cen-

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