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DELFT. 139

che par che schiattino dalla salute, e ci si debba sentir riavere a premerci la guancia contro la guancia. Le loro forme pienotte e i loro bei colori ricevon poi una grazia particolare dal loro vestire casalingo; sopratutto la mattina che han le maniche rimboccate e il collo scoperto, e lascian vedere dei candori da cherubino. I giovanotti chiamano quella toeletta, con vocabolo olandese, voluttuosa, e a me pare che non abbiano tutti i torti.

A un tratto, mi ricordai d’un appunto preso sul mio quaderno prima di partire per l’Olanda, mi fermai, e feci al mio compagno questa domanda:

“Le serve son anche in Olanda il tormento eterno delle signore?”

Qui mi tocca fare un po’ di parentesi. È noto e arcinoto che le signore non tanto altolocate da non aver che fare direttamente colle loro donne di servizio, le signore, voglio dire, che hanno una donna sola, che fa da cuoca e da cameriera, discorrono, nelle loro visite, per una buona parte del tempo, della loro serva. Son sempre gli stessi discorsi di difetti insopportabili, d’insolenze sopportate, di tu per tu, di ruberie sulla spesa, di sperperi, di menzogne, di pretensioni sfrontate, di congedi e di ricerche e d’altre calamità consimili, che finiscon sempre nel ritornello doloroso: che serve oneste e fidate, come quelle d’una volta che s’affezionavano alle famiglie e invecchiavano nelle case, non ci son più; che bisogna cambiare di continuo; che non c’è più modo di tirare innanzi. È vero? non è vero?