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LEIDA. 263

quella avventurosa passeggiata alle dune, m’ero soffermato sul ponte, domandando a me medesimo se quel piccolo ed umile corso d’acqua era veramente quello stesso fiume che avevo visto precipitare con immenso fragore dalle roccie di Sciaffusa, espandersi maestosamente in faccia a Magonza, passare in trionfo dinanzi alla fortezza di Ehrenbreitstein, sbatter l’onda sonora ai piedi delle Sette montagne; specchiar nella sua corsa cattedrali gotiche, castelli principeschi, colline fiorite, rupi aeree, rovine famose, città, boschi, giardini, per tutto carico di navi, sparso di barche e salutato coi canti e colle musiche; e pensando a queste cose, coll’occhio fisso su quel fiumiciattolo chiuso fra due sponde piane e deserte, avevo ripetuto più volte: — Questo è quel Reno? — Le vicende che accompagnano l’agonia e la morte di questo gran fiume in Olanda, sono tali veramente da destare un senso di pietà come si proverebbe per le sventure e la fine ingloriosa d’un popolo altre volte potente e felice. Fin dalle vicinanze di Emmerich, prima di varcare la frontiera olandese, egli ha perduto ogni bellezza di sponda, e scorre a grandi curve in mezzo a pianure vaste ed uggiose, che sembrano annunziargli la vecchiaia che comincia. A Millingen scorre già interamente nel territorio olandese. Poco più oltre, si divide. Il braccio maggiore perde vergognosamente il suo nome e va a gettarsi nella Mosa; l’altro braccio, insultato col nome di canale di Pannerden, scorre fin presso la città d’Arnehm, dove si biforca un’altra