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276 HAARLEM.

da una pioggia di palle, di sassi, d’olio bollente, di pece infiammata, dovettero risolversi a porre un assedio regolare. La città era soccorsa dalla gente della campagna, uomini, donne e bambini, che scivolando sui ghiacci col favore della nebbia del decembre, le portavano sulle slitte provvigioni da bocca e da guerra. Guglielmo d’Orange, dal canto suo, faceva quant’era in lui per costringer gli Spagnuoli a levar l’assedio. Ma la fortuna non gli arrideva. Tremila soldati olandesi, mandati innanzi pei primi, furono sconfitti, i prigionieri impiccati, e un ufficiale fatto morire appeso a una forca colla testa in giù. Un altro tentativo di soccorso ebbe la stessa sorte: gli Spagnuoli tagliaron la testa a un ufficiale prigioniero e la gettarono nella città con un’iscrizione oltraggiosa. I cittadini, alla loro volta, gettarono nel campo nemico una botte con dentro undici teste di prigionieri spagnuoli e un biglietto che diceva: — «Le dieci teste sono mandate al duca d’Alba in pagamento della sua tassa dei decimi, con una testa d’interesse.» — I combattimenti si succedevano di più in più feroci, fra lo scoppio delle mine e delle contrammine, nel seno della terra. Il 28 gennaio arrivarono in città, per la via del lago di Haarlem, centosettanta slitte cariche di pane e di polvere. Don Federico, capitano degli Spagnuoli, cominciava a disperare e voleva levar l’assedio; ma il duca d’Alba, suo padre, gli ordinò di persistere. Venne finalmente il tempo dello sgelo, diventò difficile recar provvigioni alla città, gli assediati cominciarono a patir la