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338 BROEK.

laggio di Broek, ma sempre di volo, e in maniera da solleticare, piuttosto che appagare la mia curiosità. Questo nome di Broek, quando lo pronunziavo in un crocchio, faceva rider tutti. Qualcuno a cui avevo domandato perchè ridesse, m’aveva risposto secco: — Perchè è una cosa ridicola. — Un tale, all’Aja, m’aveva detto così tra l’agro e il dolce: — Oh insomma, quando la vorranno finire gli stranieri con questo benedetto Broek? Non ci sono altri argomenti per canzonarci? — Ad Amsterdam, il padrone dell’albergo, tracciandomi sulla carta la strada che dovevo fare per andare a Broek, rideva sotto i baffi coll’aria di dire: — Ragazzate. — A tutti avevo domandato delle notizie particolari e nessuno me n’aveva voluto dare. Scrollavano le spalle e dicevano: — Vedrà. — Solo da qualche parola sfuggita all’uno e all’altro, avevo potuto argomentare che fosse un villaggio stranissimo; famoso, per questa sua stranezza, fin dal secolo scorso; descritto, illustrato, deriso e preso a pretesto dagli stranieri per spacciare a carico degli Olandesi un’infinità di favole e di corbellerie.

Lascio immaginare la curiosità che mi tormentava. Basti dire che sognavo Broek ogni notte, e che avrei da fare un libro se volessi descrivere tutti i villaggi fantastici, meravigliosi, impossibili, che vidi in quei sogni. Feci uno sforzo per dare la precedenza alla gita d’Utrecht, e appena ritornato ad Amsterdam, partii per il misterioso villaggio.

Broek è nella Nord-Olanda, a mezza distanza, o