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rotterdam. 43

Di lì a un minuto, andammo innanzi, vidi di sfuggita un crocicchio di canali e di ponti che formavano come una gran piazza tutta irta di alberi di bastimento e tempestata di punti luminosi, e infine s’infilò una strada e s’arrivò all’albergo.

La prima cosa che feci, entrando nella mia camera, fu di vedere se rispondeva alla gran fama della pulizia olandese. Rispondeva, ed è tanto più da ammirarsi in una camera d’albergo, quasi sempre occupata da gente profana a quello che presso gli Olandesi si potrebbe chiamare il culto della pulizia. La biancheria era candida come la neve, i vetri trasparenti come l’aria, i mobili lucidi come il cristallo, le pareti nitide da non trovarci un punto nero colla lente. Oltre a questo, una paniera per i fogliacci, una tavoletta per accendere i fiammiferi, una lastrina per smorzare i sigari, una scatola per i mozziconi, un vasetto per la cenere, una cassetta per gli sputi, un’assicella per le scarpe; insomma, non un pretesto al mondo per insudiciare checchessia.

Visitata la camera, stesi sul tavolino la pianta di Rotterdam e feci i miei studi preparatorii per il domani.

È una cosa singolare che le grandi città dell’Olanda, benchè sian state fabbricate in un suolo malfermo, e vincendo difficoltà d’ogni specie, hanno tutte una forma straordinariamente regolare. Amsterdam è un semicircolo, l’Aja è un quadrato, Rotterdam è un triangolo equilatero. La base del trian-