Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) I.djvu/276

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CANTO XI 213

quante d’incliti eroi state erano madri e figliuole.
D’intorno al negro sangue venivano a stringersi a torme.
Ed io m avvisai come potessi parlare a ciascuna.
230Questo, quando ebbi pensato, mi parve il partito-migliore.
Tratta di presso al fianco robusto la spada affilata,
non consentire che il sangue bevessero tutte ad un tempo
Ed una dopo l’altra si fecero innanzi; e ciascuna
dicea la sua progenie: ché a tutte io volgevo dimanda.
     235Tiro m’apparve prima, figliuola di nobile padre.
Disse che nata ella era del figlio d’Èolo Cretèo.
Essa invaghita s’era d' un Nume, del fiume Enipèo,
il piú bello di quanti ne scorrono sopra la terra.
Andava dunque errando lunghesse le belle fluenti;
240e il Nume enosigèo, assunte le forme del fiume,
con lei lunghesse l'acque correnti ed i vortici giacque.
E un flutto si levò, purpureo, simile a monte
gibboso; e il Nume insieme nascose, e la donna mortale.
Ei la virginea zona le sciolse, di sonno la infuse;
245e poscia ch’ebbe il Nume compiuta la gesta d’amore,
a lei strinse la mano, volgendole queste parole:
«Di questo amore, o donna, t’allegra: nel volger d' un anno
fulgidi figli tu avrai: perché non riescono vani
gli amori dei Celesti. Tu allevali, ed abbine cura.
250Alla tua casa or torna, né dire ad alcuno il mio nome:
ch’io Posidone sono, il Nume che scuote la terra».
     Dette queste parole, nel mare estuante si ascose.
E di lui pregna, Tiro die’ a luce Pelio e Nelèo,
che tutti e due di Giove divenner ministri possenti.
255Pelio signore fu delle vaste contrade di Iolco,
ricca di greggi: Nelèo signore di Pilo sabbiosa.