Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) I.djvu/294

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CANTO XII 231

50nella veloce nave ti avvincano i piedi e le mani,
dritto, con funi, a ridosso ti leghin dell’albero, stretto,
sí che delle Sirene godere tu possa la voce.
Ma se tu preghi i compagni, se d’esser disciolto comandi,
legare tanto piú ti devon con doppie ritorte.
     55Or, quando poi saranno passati piú innanzi i compagni
tu troverai due strade; né voglio descriverti adesso
punto per punto, quale tu devi seguire. Tu stesso
devi pensarci, Ulisse: d’entrambe però ti fo cenno.
Rupi da questa parte, sul mare precipiti; ed alto
60romba contro esse il flutto d’Anfítrite ciglio d’azzurro:
scogli cozzanti chiamare le sogliono i Numi beati.
Né creature alate frequentano mai queste plaghe,
né le fugaci palombe che recano a Giove l’ambrosia.
Pure, qualcuna sempre la liscia scogliera n’inghiotte;
65e un’altra ne invia Giove, ché il numero sempre sia pieno.
Mai nave d’uomini alcuna fu salva, che quivi giungesse;
anzi le travi dei legni, confuse degli uomini ai corpi,
alti marosi trascinano, e d’orrido fuoco procelle.
Sola potè superarle la nave che giunse d’Eèta.
70Argo, famosa a tutti, che vinse del pelago i flutti.
E si sarebbe anche spezzata all’immane scogliera,
senza la guida d’Era, cui molto era caro Giasone.
     Due rupi indi ci sono, che il cielo infinito una attinge
col vertice aspro, e tutta la cinge una nuvola azzurra,
75che non si dissipa mai; né mai su quel culmine eccelso,
sia pure estate, autunno pur sia, fulge l’aria serena.
Né vi potrebbe un uomo salire né scendere mai.
neppur se venti mani, se pur venti piedi egli avesse:
poiché liscia è la pietra cosí come fosse raschiata.