Pagina:Omero - L'Odissea (Romagnoli) II.djvu/32

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CANTO XIV 29

230e gran prestigio in Creta godevo, godevo onoranza.
Ma quando Giove possente meditò la gesta odïosa
che le ginocchia a tanti valenti guerrieri ha fiaccato,
me con Idomenèo trascelsero allora, che ad Ilio
fossimo duci alle navi; né modo ci fu di negarsi,
235ché mala voce avuta ne avremmo fra il popol di Creta.
Qui per nove anni la guerra sostenner gli Achivi guerrieri,
ed espugnaron la rocca di Priamo nel decimo; e in mare
per ritornare alla patria si misero; e un Nume li sperse.
Me sventurato Giove colpí con un altro malanno.
240In casa un solo mese rimasi, godendomi i figli,
i beni miei, la sposa legittima; ed ecco di nuovo
l’animo mi spronò, che ancora apprestassi le navi,
e coi compagni miei veleggiassi alla volta d’Egitto.
Nove legni apprestai, raccolsi ben presto la ciurma.
245Per sei continui dí banchettarono i cari compagni,
per sei continui dí macellai molta copia di bestie,
per ingraziarmi gli Dei, per offrire banchetti ai compagni:
il settimo salpammo dall’isola grande di Creta.
E ci sospinse un soffio di Bora propizio e gagliardo,
250come per la corrente d’un fiume; né alcuno dei legni
ebbe a patire; ma senza disagio né morbo, seduti
ce ne stavamo; e pel legno bastavano i venti e il timone.
Il quinto dí toccammo la bella corrente del Nilo;
ed alle sponde fissai del Nilo le navi ricurve.
255Ordini diedi allora perché qui, vicino alle navi,
i cari miei compagni restassero a buona custodia.
Esploratori quindi mandai su le alture. Ma quelli
porre alle brame loro rapaci non seppero freno;
anzi tosto alle genti d’Egitto i bellissimi campi