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104 poesie

XL

A CARLO EMMANUELLO

DUCA DI SAVOJA

Le guerre essere gloriose, quando hanno
giusta cagione.

Mentre sotto l’insegne i guerrier pronti,
     Schierando, carchi di dorati usberghi,
     Empiesti di terror gli alpestri monti,
     Del crudo Elvezio nubilosi alberghi;
5E vibrando asta con fulminea mano,
     Guardasti il varco della patria terra,
     Io vidi, al vulgo vil fatto lontano,
     Del tuo grande Amadeo le glorie in guerra.
È nell’alto del ciel, piaggia di lume,
     10Ove tengono il seggio inclite Muse,
     Muse, non quali d’Ippocrene al fiume
     Vendendo onor, favoleggiar son use;
Ma che tra vere lodi opre di regi
     Serbano chiare, e sempiterne: oh quanti
     15Con Euterpe quaggiù sen vanno egregi,
     Che indarno colassù sperano canti!
Che può sperar di Macedonia il fiero?
     Gonfiò le trombe, e diede assalto al mondo,
     E sulla bassa terra a farsi altero,
     20La chiuse in nembi di dolor profondo.
Ulula il Nil, spuma di sangue il Gange,
     Tutto il popolo Eóo lagrime piove:
     Ei sa goder se l’universo piange,
     Predicandosi altrui figlio di Giove.
25Sommo valor, dalla Virtù non scorto,
     È furor sommo: militar fierezza
     Ben può tra’ sciocchi celebrarsi a torto;
     Ma sue false corone il Ciel non prezza.
Prezzasi in Ciel, che alpi varcando e mari,
     30Tolse Goffredo il gran sepolcro agli empi;
     E che Campion de’ sacrosanti Altari
     Trionfando Amadeo crebbe gli esempi.
Ei corse in Rodi, e l’Ottoman tiranno
     Vinse in battaglia, e lo si stese a’ piedinota:
     35Ma lasso me! che vendicar ben sanno
     L’antiche piaghe i dispietati eredi;
Nè si fa schermo. Ahi cristian! le spade
     A che cingete? Orsù tacciam, cor mio,
     Incomparabil onta a questa etade,
     40Che di Gerusalem la prenda obblio.
Forse decreto de’superni regni
     A nostre colpe tanto onor contende;
     Ma non perciò ritolto ad ozj indegni,
     Carlo, fra’ grandi il nome tuo non splende.
45Sì forte aneli, ed alla belva inferna
     Dentro Gebenna ogni soggiorno infesti:
     A’ guerreggianti per la legge eterna
     Vengono dall’Olimpo inni celesti.

XLI

AL SIG. RICCARDO RICCARDI

Che le avversità avvengono per li peccati.

Nel secol d’oro, onde a’ mortali or solo
     La memoria riman, Saturnia etate,
     Per la calda stagion spiche dorate
     Crescer vedeansi, e non s’arava il suolo.
5Quel liquor, che cotanto il Mondo apprezza,
     Vinceano l’onde, onde correano i rivi,
     E là ’ve ghiande or si raccolgono, ivi
     Distillava di mele alma dolcezza.
Nè procelloso il seno, umido il volto,
     10Austro soffiava, delle febbri amico;
     Ma l’Uom già stanco, e per suoi giorni antico
     Gli era, quasi dormendo, il viver tolto.
E mentre in terra alla caduca gente
     Le Parche su nel ciel filavan gli anni,
     15Ella mai non sentia colpo d’affanni,
     Ne per ingiuria altrui venía dolente:
Che allor s’udi sotto innocenti acciari
     Sol per le falci risonare incudi;
     Non fabbricossi usbergo a’ guerrier crudi,
     20Nè fersi navi a’ predatori avari.
Dolcissimo a ciascun l’altrui diletto,
     Ne la lingua, né il cor mentir sapea:
     Regnava Amore, e le bell’alme ardea,
     Ma del vicin non s’oltraggiava il letto.
25Or lasso! non così, che l’altrui vita
     Arco minaccia venenato, ed asta,
     E tetra invidia l’altrui ben contrasta,
     E di quaggiuso è l’onestà sbandita.
Propinqui lidi, ed oceán lontano
     30Vele rapaci a depredar sen vanno:
     Piange afflitta la Fè sotto l’inganno;
     Ma su dal ciel Dio nol rimira invano,
Quinci le pesti, ed implacabil gode.
     Morte ridurre alte cittadi in erba;
     35Quinci disperde il gran Cerere acerba,
     E i famelici gridi ella non ode.
Quinci, di crude serpi armata il crine,
     All’arme i cor Tisifone raccende;
     Che su gli empi, o Riccardo, a guardar prende
     40Dio vilipeso; e gli flagella al fine.

XLII

AL SIG. ORAZIO DEL MONTE

Mostra il periglio dell’arte della guerra.

Se mai co’ cervi, o pur coll’aure a prova
     Movesse alcun le giovinette piante,
     O si levasse al ciel nell’età nuova
     Altero a rimirar quasi gigante;
5E se per sangue glorïoso e chiaro
     Facesse risonar magnanim’avi;
     O se di Crasso, o se di Mida al paro
     Arche serbasse di tesor ben gravi,
Non sarà ver, che in alcun pregio ei saglia,
     10Orazio, al giudicar di nobil gente,
     Se poscia negli orror d’alta battaglia
     Ei non è morte ad incontrar possente.

1

  1. Accenna ad Amadeo V detto il Grande. Alcuni Storici vogliono che passato nell’Oriente (1315) liberasse l’isola di Rodi, assediata dai Turchi, ed attribuiscono a tale spedizione l’origine del motto di Savoja F. E. R. T. fortitudo ejus Rhodum tenuit. La sana critica rifiuta e la spedizione di Rodi e la spiegazione del motto.