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248 poesie


Ei qui si tacque, ed aspettava; intanto
     250Nella donna gentil ferma le ciglia:
     Ella nol mira; e stassi immota alquanto,
     Pur siccome uom, che suoi pensier consiglia;
     E quasi di quei detti, e di quel pianto
     Tratto avesse in udir gran meraviglia,
     255Scosse le belle tempie, indi cortese
     Con alquanto di sdegno a parlar prese:

Che nella grazia d’Ottoman salito
     Di dignitate, e di tesoro abbondi
     Tuo genitore, ho di buon grado udito,
     260Osmano; i vostri dì sieno giocondi;
     Ma del martíre tuo, quasi infinito,
     De’ mali, che in parlar fai sì profondi,
     Non ti porsi consiglio ad incontrarli,
     Prendi dunque a pensar come cessarli.

265Eccitar nel mio cor voglie amorose,
     O me sposar tu vanamente speri,
     Il ti contrasta infinità di cose;
     Volgi a porto migliore i tuoi pensieri.
     Ciò detto, al favellar termine pose,
     270E guardando vêr lui con modi altieri,
     Schifa si dimostrò di più sentire,
     E già moveva l’orme a dipartire.

Allor gridava Osmano: alma spietata,
     Perchè tanto fuggir? ferma le piante.
     275Che se prendi a disdegno essere amata,
     Ed io mi pentirò d’essere amante:
     Voce d’amor non fia per me formata;
     Begli occhi, io sarò muto a voi davante:
     Ah petto di ria selce; ogni parola
     280A lei cresce le piume, onde sen vola.

Mentre piagne così, con lieve passo
     La bella donna agli occhi suoi si fura:
     E quei con guardo nubiloso e lasso
     Immobil stassi in pena acerba e dura.
     285Qual se scarpel di peregrino sasso
     Tragge in sembianza d’uom regia figura,
     Che poscia fonte in verde bosco onora,
     Sì fatto il Turco era a vedersi allora.

Poscia che muto, e nel profondo immerso
     290Alquanto stette dell’angoscia atroce,
     Egli si scosse co’ pensier converso
     Pur a lei, che sparío tanto veloce;
     La bocca aprì, ma tutto il sen cosperso
     Di pianti amari, non trovò la voce;
     295Pur finalmente d’amorosi accenti
     Un cotal suon fece volare a i venti:

Misero! in qual paese, ed in qual ora
     Fu proposto a mirare infra mortali,
     Che per mercede un amator si mora
     300Con tanto peso di cotanti mali?
     O tu, che il mondo riverente adora
     Per l’immenso valor degli aurei strali,
     Amor che attendi? e dove gli occhi giri?
     Cotanta iniquitate oggi non miri?

305Per tal modo suoi regni un re governa?
     Io fedele a’ tuoi scettri acerbi e duri,
     E non ti cal di me? ma che ti scherna
     Quel rubellante cor nulla non curi?
     Ah mostro, ah furia della valle inferna,
     310Nato negli antri d’Acheronte oscuri,
     E poi nudrito di crudel veneno
     All’empia Scilla, ed a Cariddi in seno.

Ben sciocco è l’uom, che al nome tuo s’inchina,
     Se mi riguarda; o che spiegasse i rai,
     315O s’ascondesse il Sol nella marina,
     Non diffusi sospir? non trassi guai?
     Beltà d’un volto non mi fei reina?
     Non l’ebbi a riverir? non l’adorai?
     A’ soli cenni suoi non fui divoto?
     320L’anima ardente non gli porsi in voto?

Parte di questo a ciascuno altro amante
     Recato avrebbe disïata sorte,
     E tutto insieme a me non è bastante,
     Salvo a dar pena, ed a spronarmi a morte;
     325Ah cor di tigre sotto umíl sembiante!
     Fossi io, deh fossi a vendicarmi forte;
     Pascer ben mi sapria ne i tuoi tormenti:
     Ma s’io nol posso, almen fortuna il tenti.

Giù dal fondo infernal mandi Megera
     330Febbre più ria, che tua beltà deprede,
     Sicchè fra donne, ove or trïonfi altiera,
     Gran vergogna ti sia movere il piede;
     Ed ad onta di te turba guerriera
     Rapisca tuoi tesor, strugga tua sede;
     335E ti deserti; e di tuo stato antico
     Guasti l’onor: ma lasso me, che dico?

O sulla terra, oltra l’uman desire
     Di beltate, ammirabil Callinice,
     Soverchia passïon, troppo martire
     340Oggi fa traviar questo infelice,
     Non ti turbi disdegno: a così dire
     Corse la lingua, il cor nulla non dice:
     Vivi pur lieta, e del tuo viver sieno
     I giorni lieti, e fortunati appieno.

345Mentre così dicea, vennegli in core
     Per fuggir pena, abbandonar la vita,
     Onde per entro un boschereccio orrore
     Mosse, dove s’estolle alpe romita;
     E pensando in cammin su quel dolore
     350Grave cotanto, che a morir l’invita,
     E sul ben trapassato, onde godea
     Dianzi in Bizanzio, a così dir prendea:

Poteva egli per uomo unqua aspettarsi
     Sì miserabil caso in un momento?
     355Dianzi godei ciò, che più suol bramarsi,
     Gioventù, nobiltate, oro ed argento;
     Ed or miei pregi dissipati e sparsi
     Cascano a terra, e va mia speme al vento,
     E sol mi avanza di morir desío:
     360Cotanto costa porre il piede in Scio.

La bella calma, che mie navi scorse
     Sull’infausto confin di queste sponde,
     Chi me la diede? a mio gran mal non sorse
     Allor sdegno di Borea a turbar l’onde:
     365In tal guisa parlando, il piè trascorse
     Le chiuse vie delle selvagge fronde;
     E d’una balza in cima ei ferma il passo,
     E così dice riguardando a basso;

Tempo è da ricercar stato giocondo,
     370E qualche speme di fortuna lieta;
     Ma da cercarne in alcuno altro mondo,
     Però che in questo Callinice il vieta:
     Quinci dall’alto in un vallon profondo
     Scagliossi l’alma torbida, inquieta;
     375E tra le rupi del suo sangue asperse
     La bella etate in sul fiorir disperse.