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250 poesie


505Alza ululati oltra l’uman costume,
     E, battendo le palme, il sen percote,
     E benchè agli occhi venga manco il lume
     Dal pianto, ei piagne, e fa sentir tai note:
     Non farò lagrimando un largo fiume?
     510Non griderò, non graffierò le gote?
     Non piangerò? chi può biasmar s’io piango?
     Che dell’unico figlio orbo rimango?

Lasso! che Luna per lo ciel correa
     Allor che sposo mi corcai fra i lini?
     515Di che martir? di che miserie rea?
     Come ministra di crudel destini?
     E come infausta per lo ciel s’ergea
     La voce de i cantor falsi indovini,
     Che presagio facean tanto giocondo
     520Sul primier punto che venisti al mondo.

Per te chiari trofei, chiare vittorie
     Poteano in Tracia riportarsi Osmano;
     I gran titoli altrui, l’altrui memorie
     Doveano teco pareggiarsi invano;
     525Ed ora, ecco i trionfi, ecco le glorie,
     Di che gioir dovea per la tua mano:
     Perfide insidie poste a tua salute,
     E chiuso il varco alla tua gran virtute.

Qui tace; e come chi di duol vien meno,
     530Cader si lascia sovra il corpo ucciso,
     E pure al pianto rallargando il freno,
     Con lunghi baci glie ne lava il viso;
     Poscia risorge, e di mestizia pieno
     Tiene in quelle ferite il guardo fiso,
     535Muto ed immoto per la pena atroce;
     Al fine ismanïando alza la voce:

Se di nobile guerra intra i furori
     Guerriero d’Ottoman cadevi morto,
     Per tue chiare prodezze a’ miei dolori,
     540Alle mie pene rimanea conforto;
     Or per inique man di traditori
     Fuor di battaglia assassinato a torto,
     Che di te mi rimane, alma diletta,
     Salvo, giusto desir d’alta vendetta?

545Ed io farolla: addosso al popolo empio
     Spingerò del re nostro ogni bandiera,
     Finchè divenga lagrimoso esempio
     Di quella Isola iniqua ogni riviera:
     Soffriran le donzelle oltraggio e scempio,
     550A giogo andrà la nobiltate altiera,
     Fia la terra disfatta, arsa, deserta,
     Ed in fier nembo di dolor coperta.

Quinci con vista venenosa, oscura,
     Pien d’orgoglio crudel move repente,
     555E lascia i servi suoi, che a sepoltura
     Dieno le membra lacerate e spente:
     Sembrò leon, se cacciator gli fura
     I figli inermi, che sen va fremente,
     E con alto ruggir disfoga l’ira:
     560Trema il pastor, che per campagna il mira.

Udì le note minacciose, e scorse
     Dell’orrido demon l’arte spietata,
     E che Scio tosto caderia s’accorse
     Di Francesco fedel l’alma beata;
     565Onde agitato da pietà sen corse
     Oltra l’eccelsa regïon stellata,
     Campi immensi di luce, ed ivi inchina
     La sempiterna potestà divina.

E dice: incontrastabile potere,
     570Che l’universo a tuo voler governi,
     Tosto vedrem la bella Scio cadere
     Per la malvagità de’ mostri inferni:
     Ma per me dentro lei non mai tacere
     Odonsi gl’inni, e sono i canti eterni,
     575E sempre a mio favore ardono incensi;
     Però che io l’ami, a carità conviensi.

Dunque riguarda, e l’infernal furore
     Forte correggi, e non sprezzar miei prieghi,
     E che all’Isola bella il suo splendore
     580Tuttavia duri, tua bontà non nieghi,
     Cui risponde de’ cieli il gran Motore:
     Veracemente tue preghiere impieghi
     In opra di pietà; ma non consente
     A me la mia giustizia esser clemente.

585Di quel popolo rio falli infiniti
     Hanno d’ogni mercè passato il segno,
     Nè son di disprezzarmi anco pentiti,
     E però proveran del mio disdegno:
     Non comincio ora; di Sïonne i liti
     590Specchio ne sieno, e del Giordano il regno,
     Che di lor falli e di lor colpe in pena
     Han sul piede e sul collo aspra catena.

Dietro a’ falsi pensier l’uomo non vada:
     In ciel regna pietà, ma regna ancora
     595Con lei giustizia, la cui forte spada
     Gli scellerati peccator divora:
     Se flagellar si dee l’alma contrada,
     Il pio Francesco soggiungeva allora,
     Certo non dee soffrir duro servaggio
     600De i gran Giustinian l’alto legnaggio.

Inclita gente, che divota appieno
     Della tua legge a’ sacrosanti imperi,
     Or di quella città rivolge il freno,
     A te sempre volgendo i suoi pensieri:
     605Qui con sembiante a rimirar sereno
     Il Rettor degli eccelsi ampj emisperi
     Spande un mare di raggi, onde lampeggia
     Di lume eterno l’immortal sua reggia.

E dice: lunge dal crudel furore
     610Dell’Ottoman questi ben nati andranno,
     E quanto in petto lor splende valore,
     Per chiara prova testimon daranno:
     Altri pompa mortal, mortale onore,
     E mortali sollazzi a scherno avranno,
     615E chiusi in cella per ardente zelo,
     Faransi cari, e ben diletti al cielo.

Di questi un, che di picciolo convento.
     Tra’ muri angusti abbatterà l’inferno,
     Fia tal, che in giovinezza, alto ornamento,
     620Avrà mille conventi in suo governo;
     E poi che oprando e favellando in Trento,
     Il suo bel nome sarà fatto eterno,
     Goderà, tolto al solitario chiostro,
     La sacra insegna del più nobile ostro.

625Ed altri presso lui movendo il piede,
     In celeste desire anima accesa,
     Di questo ostro non men farassi erede,
     Grande splendor della romana Chiesa;
     Pronto a partir la pena e la mercede,
     630Franco ne i rischi d’ogni bella impresa,
     E sue vaghezze a raffrenar possente,
     Ne caso incerto ingannerà sua mente.