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112 vita di alberto pisani

IL CODINO.


Ti dirò una scenetta che accadde a mio fratello maggiore.... morto anche lui! Me la contava sovente, e come, nel ricordarla, si rischiarava il suo viso!

Quando la avvenne, io era in Francia, in collegio. Correvano tempi tristissimi. Mio fratello faceva gli studj nella patema città presso una scuola di Barnabiti, se non eccellente, buona. È vero che la malattìa rivoluzionaria l’avea tanto quanto intaccata, ma «che» poteva allora sfuggire a tal malattìa? Era nell’aria. Infatti, i reverendi sequestravano spesso ai loro scolari imàgini sediziose, libri guasta-cervelli, e allorchè poi, a castigare, mettèvan mano alla sferza, gli zuffettini pappagallàvano su certe ideone intorno alla dignità umana, e che so io! Mio fratello però, uno tra i pochi, non aveva peranco rizzata la cresta; tanto è vero, che il padre reggitore la scuola, pel quale era sempre la terza posata sulla nostra tovaglia, affermava ogni dopo-pranzo a donna Francesca mia madre, che il suo Carlomagnino avrebbe, senza alcun fallo, inscritto nel calendario la famiglia Etelrèdi.

Senonchè, un giorno, il nostro futuro santuccio, tornato a casa da scuola.... e quì, avverti.... èrano le prime volte che egli tornava «da solo», avendo tòcchi i venti anni....

Alberto: ne ho sette io, e vado attorno senza nessuno, io.

La nonna: oggi s’è messo il vapore, si nasce con uno sigaro in bocca; allora, si maturava più tardi....

.... dunque, tornato mio fratello da scuola, e, come l’etichetta ponea, recatosi a baciare la mano alla contessa mammina, parve straordinariamente rosso.

— Che avete? — ella chiese con il suo sòlito imperio.

— Niente — egli rispose turbato.

— Eppure — osservò mia madre — siete di un tal color sì acceso.... Sembrate un villano!